Cima alle Coste – Diedro Martini

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Settimana davvero pesante da tanti punti di vista, al punto che alla scalata non riesco neanche a pensare. Quando Vyger mi snocciola qualche proposta (lunga e impegnativa) vedo presagi oscuri che si affacciano ovunque… penso che potrebbe propormi anche Nereidi a San Paolo e avrei la stessa cedevole indifferenza. Eppure ho voglia di andare… Quando mi propone il Diedro Martini a Cima alle Coste sono contenta, tutto sommato è la più abbordabile delle proposte che mi ha fatto negli ultimi giorni.
In macchina si parla un po’ di tutto e i discorsi mi coinvolgono talmente tanto che arrivando a Riva mi rendo conto che stiamo andando a scalare e non ci avevo ancora pensato. Vedo la parete in una strana luce tra nubi e sole, è bellissima come l’ho sempre guardata passandoci sotto, bellissima e lunghissima. Ci aspetta una bella cavalcata.
Partiamo seguendo la Steinkotter nella parte bassa, come di uso comune. Sono una manciata di tiri di IV grado monotoni e insulsi. A spit ma un po’ da cercare tra parete e diedro a destra. Scalo il primo tiro da seconda con l’eleganza del riccio, giusto per citare uno dei romanzi più belli che abbia mai letto e che ogni tanto mi torna in mente.
Quando tocca a me mi sento un bradipo. Oggi sono fuori dal mio corpo, me ne è stato dato uno in dotazione che non è il mio: è pesante, ha i piedi di legno che non sentono niente, le gambe rigide e la vista peggiore di quella che di solito ho. Tra uno spit e l’altro, (parliamo sempre di quartogrado, placcoso su roccia stondata) mi prende uno stato d’ansia assurdo e incomprensibile, e davanti a me si para uno striscione con scritto a caratteri cubitali “oggi non è giornata”.
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“Cosa dici, ti fai una giornata come le fidanzate parancate?” “parancata e felice”. Ok, andata. Decisioni che si prendono in modo rapido e sereno, senza tante storie e che ti consentono di goderti comunque la giornata, senza stare tanto a rimuginare. Capita. Amen.

Fine dei tiri di quartogrado su roccia stondata, appoggiati da far venire la gobba e i crampi ai polpacci. Nel frattempo ci ha superati una cordata di ragazzini tedeschi (fidanzatini) in conserva lu-davanti-lei-dietro. A vedere lei, io avrei deciso di fare qualche sosta… evidentemente seguono la filosofia del “ciò che non uccide fortifica”, e ora sono nella parte boscosa mediana a gironzolare in cerca dell’attacco e laciano giù comodini che seguendo la legge della gravità vengono pericolosamente nella nostra direzione.
Evidentemente non trovano l’attacco… Quando arriviamo sotto il primo tiro del vero Diedro Martini lui è bello pronto a partire. A questo punto potevano stare persi nel boschetto ancora 10 minuti… no? no. Parte lui, molto veloce, fa sosta (meno male). Parte lei, molto lenta. Noi cazzeggiamo comodamente all’ombra del nostro albero di sosta 10 metri sotto, fuori traiettoria comodini.
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Finalmente la roccia stondata che ti fa venire la gobba ha ceduto il passo a belle lame, l’arrampicata si fa verticale e più atletica, molto classica per fessure ben proteggibili. La roccia non è propriamente granitica (già, è calcare), va controllata, sapore molto old school. Nel frattempo la simpatica cordata davanti non ha visto una sosta e lui cerca di concatenare due tiri non concatenabili. Altra perdita di tempo…. Poi per fortuna spariscono in qualche maniera e non ci si incontra più.
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Arriviamo al famoso tiro della lama, uno dei più fotografati dell’intera valle del Sarca. Consegno a Vyger il friend del 4 che avevo comprato tempo fa e mai usato. Bello lucido, qui sarà perfetto.
La lama è fantastica come pensavo, divertente. Segue traverso a sx (altro tiro molto fotografato dalla sosta), con cengia friabile. Ho sempre guardato le foto pensando che è friabilissimo e tutto in bilico, ma che è largo e quindi facile. Invece è tutto come pensavo, solo che è difficile. Preferisco tenermi bassa, con le mani sulla cengia, stacco un rinvio da un cuneo vecchio e smarzo che sapientemente il capocordata ha rinforzato con un friend (ma i cunei si rinviano sempre, hanno quel sapore di storia che non si può ignorare).
Ultimo tiro su roccia molto dubbia, e meno male che sono finiti, perchè vista l’escalation della qualità della pietra un altro tiro sarebbe stato su ghiaia, poi magari su sabbie mobili. Invece finisce tutto in un ameno boschetto fresco e ombreggiato, comodo per una bella merenda. Tiriamo fuori la tovaglia, le uova sode, l’insalata di riso, un bicchiere di bianco e le seggioline da pic nic e ce la raccontiamo su.
Risvegliata dal mio sogno durato un nanosecndo, sgranocchiamo un cubetto di grana, facciamo su le corde in fretta e scendiamo, che sono 2 ore da smazzarci per arrivare giù. Prima su verso San Giovanni, poi giù verso Dro, nel bosco ripido con le foglie che fanno scivolare poggiandosi sulla pietra, poi il sentiero degli scaloni dove si può correre e dove reincontriamo i fidanzatini tedeschi, arrivati a Dro, su in salita di nuovo traversando per 1,6 km (da cartello, maledetto!) verso il laghetto dove abbiamo la macchina.

Io mi sono goduta la via comunque, Vyger è stato bravo e veloce, fatta una classica che mancava ad entrambi su una parete davvero affascinante.