Pizzo Cassandra, parete Nord

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Stavolta tocca ad Andrea decidere: io gli sono davvero riconoscente per quello che sta facendo venendo spesso con me in roccia, e poi anche io voglio imparare da lui! Mi ha già portata su una cascata, ora si può cominciare a cercare qualche salita alpinistica su qualche bella vetta anche senza sci.
Unico vincolo da me posto: non oltre i 2000 metri di dislivello, ora non sono sufficientemente allenata. Per il resto, essendo io inesperta (il massimo che ho fatto è la Cresta Sinigaglia in Grignetta in invernale) dovrà essere lui a valutare se è il caso che io tenti o no.

Arriva a casa con la relazione del Tua al Redorta (2200 m D, scartato!!) qualche cosa di sconosciuto a me nel pinerolese, e la Nord del Cassandra. Cassandra la profetessa degli Achei, profetizzava disgrazie, nessuno le credeva, e poi queste si avveravano. Al liceo mi ero affezionata a questo personaggio.
Vetta a 3220 m, Difficoltà AD+ (III in roccia e ghiaccio non difficile, 45°, ecco perchè Andrea me la propone!), 1600 m di dislivello, un po’ tanta la strada ma la possiamo fare in giornata.

Sabato no, ho bisogno di relax. Andiamo in falesia a Caionvico, dove senza prevedere e senza tanto programmare mi metto a provare tiri che non avrei mai pensato l’anno scorso, l’ultima volta che ero venuta qui. Ho lasciato le paure di provare, sono serena. Queste piccole vittorie sulle paure mi serviranno domani.
La sera si fa lo zaino, si fa il ripasso-spiegazione su alcune manovre su ghiacciaio che io non conosco (avendo all’attivo 2 4000 facilissimi e una normale all’Adamello), poi a nanna presto.
Sveglia impietosa alle 2:10. Partiamo dal parcheggio di Chiareggio alle 6:00 in punto, frontali accese, ma per poco.
Arrivati al rifugio in poco meno di un’ora è ormai chiaro, e inizia a delinearsi lo scenario della giornata. Dal Porro ci incamminiamo attorniati da grandiosi quinte formate da altissime morene, noi camminiamo nel vallone sulla neve dura, soli, in silenzio e circondati da granito e neve silenti. Gli ultimi 3-400 m di salita verso l’attacco sono abbastanza faticosi, il pendio si fa più ripido, evidentemente abbiamo messo piede sul ghiacciaio, ora tutto coperto da neve. Prima di arrivare al conoide ci leghiamo, io litigo con le spire delle corde e con il freddo ai piedi. Momento di sconforto del tipo “non ce la farò mai”, mi sento fuori dal mio ambiente fatto di roccia tiepida, che mi dà sicurezza, mi sento persa in questo vallone di neve. Intravedo un po’ di luce in parete…. dai saliamo che poi ci si scalda!!! Sono fatta così, passo dallo sconforto totale all’entusiasmo….

Andrea davanti a me scalina sul conoide. Arriviamo al sole e fa caldo, decidiamo di fermarci a togliere uno strato, poi continuo io, così ci alterniamo a tracciare e poi mi accorgo che non mi va di star sempre dietro.
La parete ha molta meno roccia di quello che diceva la relazione: la stagione è agli inizi, la neve copre molte delle rocce, a volte facilitando le cose, altre (nei passi di misto) rendendole più complicate perchè non si capisce bene se è roccia o neve sotto ai ramponi. Saliamo veloci tutta la prima parte della parete.
Poi la neve diventa davvero tanta e molle (deve aver nevicato ultimamente solo oltre i 3000 m) e la via non più facilissima da trovare. Deviamo verso destra, ma ci si para davanti un caminetto roccioso di cattiva qualità, il friend messo viene via perchè la roccia è friabile. Cambiamo direzione e visto che mi trovo in posizione migliore tocca a me. Un passetto su roccette in cui capisco quanto le punte dei ramponi siano affidabili, poi ancora pendio di neve. Poi sono esausta. Ancora neve molle.
Passa avanti Andrea e sarà lui, girato lo spigolo, ad incitarmi, dirmi di tenere duro che mancano 10 metri alla vetta. Giro lo spigolo e lo vedo sugli ultimi metri di cresta…. attorno a noi tanta aria e più lontano altre cime. Mi aspetta, io negli ultimi 50 metri ho esaurito le forze. Mi abbraccia, ci fermiamo a mangiare e bere. Poi anche a contemplare quello che abbiamo intorno.

Ora bisogna scendere…. e la prima parte della cresta della normale è troppo pericolosa, c’è un cornicione che è meglio lasciare dov’è. Andrea decide che traverseremo più bassi per andare a prendere la cresta al secondo salto. La traversata è meno peggio di quel che i miei occhi stanchi vedono. Solo pochi passi impegnativi in discesa, epr il resto è il solito movimento e la solita attenzione da prestare. Veniamo depositati sulla cresta della normale, per la quale scendiamo (ancora 2-3 tratti in cui tenere alzate le orecchie) e arriviamo al passo Ventina.
Poche ore fa da qui scendevano allegri scialpinisti, noi ora seguiamo le loro tracce, un po’ mi spiace rovinare quelle belle curve tonde. Bello scendere faccia a valle, rapidi, con la mente che pian piano si svuota.
Quando ci sembra di essere in un punto comodo ci concediamo una bella sosta, circa a 2600 m. E’ pomeriggio, la giornata è sempre fantastica, neanche una nuvola, e la faccia brucia. Poi riprendiamo a scendere, le montagne diventano sempre più alte intorno a noi, la discesa spiana, la neve diventa molle e faticosa, e arriviamo di nuovo al Porro. Altra breve sosta, poi ultima fatica, tornare alla macchina.
Siamo stnachi, ma non smettiamo di sorridere.

E visto che non si può tornare a casa senza aver mangiato qualcosa…. propongo di reintegrare le energie spese con un bel kebab a Morbegno. Molti inorridiscono all’idea di un kebab “dopo una salita del genere”. Invece ci sta tutto! (anche perchè solo al kebab possiamo presentarci nel nostro stato….)

Grazie ad Andrea, grazie di avermi portato nel suo mondo di montagne, diverso dal mio ma fatto ugualmente di sogni. E grazie di tutto…..