walzer strapiombante

Una piuma. Il peso sembra svanire dal suo corpo appena appoggia le mani sulle prime prese, i piedi sui primi appoggi.
Equilibrio e movimento, eleganza, silenzio. Non uno sbuffo di fatica. Le mani quasi accarezzano le prese prima di stringerle, i piedi appoggiano precisi come non ho mai visto: quando la scarpa si appoggia non si muove più fino a che non la stacca per il passo successivo, non una sbavatura nel movimento. La mano arriva piano sulla presa, piano piano le dita stringono quel piccolo pezzo di resina, fino a fissare definitivamente la posizione. Spostamento del peso, grandi bilanciamenti, movimenti ampi perfettamente padroneggiati e controllati. Agilità, danza. Una coreografia su terreno strapiombante.
Come un gatto, la precisione, la dinamicità, l’equilibrio sempre perfetto, messo a punto in tanti anni di esperienza. Nel suo lancio non c’è sforzo, ma sembra allungarsi senza soccombere alla legge della gravità cui sottosta tutto il mondo. Ma in quel momento lui è fuori dal mondo. E’ bello vedere come tutto il corpo insieme lavora in perfetta sincronia per andare a prendere quella presa lontana, lo sforzo non è nelle braccia o nelle gambe, ma nel corpo in tutto il suo insieme. Non ci sono stacchi decisi, non c’è affanno o fretta, solo misura e ritmo.

Un giorno, su un tiro.
Arriva all’ultimo movimento, da cui poi moschettonare la catena. Una piccola esitazione, è solo una frazione di secondo, si concentra, lancia a quella che so essere una buona presa. Il lancio non è perfetto stavolta, tocca la presa ma non la tiene. Io butto le gambe in avanti, punto i piedi alla parete e so bene cosa mi aspetta, chiudo gli occhi un istante e riaprendoli mi trovo un metro e mezzo sopra terra, lui penzola un paio di metri sopra di me. Lo calo, mi sorride di sbieco, ormai entrambi conosciamo la dinamica della mia sicura attentissima, ma leggera. Diverse persone ci guardano, un po’ colpite. Noi ci sleghiamo in silenzio, sfilo la corda e mi preparo a partire. Non gli dico che mentre faceva quel passo, avevo percepito l’incertezza ed ero già pronta a tenerlo.

Ho visto tanta gente, anche molto forte, scalare. Ognuno ha il suo stile inconfondibile. Certe persone le potrei riconoscere da lontano anche senza vederne il volto, semplicemente guardandole salire.
Non mi era mai venuta voglia di spendere parole per uno stile d’arrampicata, non mi era mai nemmeno venuto in mente che potesse valerne la pena. Eppure mi sono resa conto che da qualche anno la mia ricerca è questa, e non solo salire di grado e chiudere i tiri: salire bene, fare una cosa bella, perchè se è bella è anche funzionale, in arrampicata è così, una salita bella è una salita “economica” per le proprie forze. (so di avere tantissima strada ancora da fare, tutta in salita). Mi piace guardare gli altri scalatori, e dai miei compagni di cordata ho sempre imparato qualche cosa: forse perchè io sono un’autodidatta, quel poco che so fare per lo più viene dall’osservazione, e poi dalla trasformazione, dall’ascolto di quel che sento mentre salgo. In fondo si ricercano, nella vita, le buone sensazioni: ecco, qui è lo stesso.