La ragazza del traverso

caio

Da quanto tempo non scrivo più?
Non ho il coraggio di guardare…. si, negli ultimi mesi non mi sono più dedicata alla scrittura, ho semplicemente vissuto tanto i cambiamenti e gli avvenimenti sia esterni che interni alla mia vita, li ho osservati e basta.

Giusto oggi Facebook mi ricorda un articolo di 2 anni fa: Caionvico e i conti in sospeso

E guarda un po’… oggi mi ritrovo qui.
Come ormai accade da un mese a questa parte, 2 volte a settimana sono qui.
Da sola
Salgo con il mio zainetto giallo piccolo, un paio di scarpette e il sacchetto della magnesite. E scalo…

Tempo fa avevo incontrato Walter che,da solo, avendo poco tempo, si era messo a scalare un traverso. Tornata a casa, avevo raccontato a Sandro di quest’incontro, e lui si era messo a raccontare i miti di questo allenamento sul traverso, da Curiosity Killed the Cat fino a Technicolor. 60 metri, 6a/b, mi disse.
Appena mi sono stabilizzata nella nuova casa, decido che sarà il prossimo allenamento per rimettermi in sesto da tutti i trambusti degli ultimi mesi.
La prima volta è una mazzata morale, ho paura di cadere, sbattere e farmi male.
La seconda volta non ho più paura e inizio a studiare i passaggi.
Sandro mi chiede se riesco a concatenare tutto, io lo guardo e mi metto a ridere, gli prendo gli avambracci e li confronto con i miei (i suoi sono grossi almeno il doppio). TI PARE??? E poi c’è quel passaggio maledetto all’attacco di Busillis, e poi i 3 metri finali da Verme solitario a Technicolor…

Ma non è questo. Cioè, si, bisogna allenarsi, è nella mia vita allenarmi, chi non prova forse non può capire quanto diventi parte integrante della vita di una persona.
Mi alzo mezz’ora prima del solito, sbrigo la colazione un po’ più in fretta e mi costringo ad uscire di casa mentre una parte di me vorrebbe accendere il pc e dedicarsi ad un risveglio più tranquillo. Ma poi… passi davanti al bar del Gigi, parcheggi al piccolo cimitero con il sole che arriva di traverso, tiri il fiato negli ultimi metri e poi sei lì. La mattina con i primi raggi di sole che scaldano la falesia, ultimamente ho anche visto 2 scoiattoli che si rincorrevano da un albero all’altro.

Allacci il sacchetto, metti le scarpe, i primi passi.
Scalare da sola.
Senti il respiro, come se fosse di un’altra persona, e i battiti del cuore che ti fanno capire se stai bene o sei in ansia. Se ti distrai un attimo e non guardi i piedi ti trovi con le prese troppo alte, e il terreno diventa troppo lontano. E sono cazzi. Bisogna scendere, la comfort zone per evitare infortuni è a 50 cm da terra. A volte tocca salire, ma le prime volte non sai se salendo poi potrai scendere agilmente, se ci sarà una manetta che terresti anche con i piedi nel vuoto. Insomma… piccole scoperte, piccoli passi.

Comunque: al diavolo Sandro e il suo “è tutto 6a/6b”. Ci sono alcuni brevi tratti davvero facili, ma poi so che arrivo a Busillis (circa a metà) e cado sempre. Mi guardo le braccia doloranti e scorgo vene che si ingrossano come strade, sento il sangue che scorre.

Oggi ho smesso di lavorare alle 17 e sono salita in falesia. Ho scalato avanti e indietro e ho completato il tutto, sono scesa con le ultime luci. Ho iniziato che ero nervosa e anche un po’ triste, stanchissima.
Ho trovato uno da salutare, lui era da solo con la corda. Io da sola senza corda. Lui si è allenato e io pure, scambiato qualche parola. Poco dopo sono lui è andato via e io sono rimasta lì con il canto degli uccellini di sfondo e il mio respiro come partner… e sono scesa felice e rilassata. In quell’ora e mezza non ho pensato a niente. Una cosa difficile da fare, molto più che scalare: creare silenzio dentro di sè. Se devo “solo” preoccuparmi di che prese tenere, dove mettere i piedi e che tipo di pressione esercitare sugli appoggi, sostanzialmente è come se non pensassi, come se dovessi solo fare uno sforzo per esercitare una funzione vitale: il mondo si azzera, io divento solo macchina esecutrice della mia sopravvivenza. Come muovo i muscoli per respirare, così li muovo per non cadere dalla parete.

Il traverso non ha un grado, esula quindi dai comuni canoni dell’arrampicata sportiva per cui bisogna chiudere qualcosa che sia “certificato” come grado. Io ho deciso che voglio fare i 60 + 60 metri in continuità ed è un mio obiettivo personale senza un numero che certifichi quanto sarò stata brava se riuscirò mai a farlo.

E poi, infine, la cara vecchia Caio è un po’ come un bar. A parte il caso di oggi, solitamente arrivo la mattina presto, sono sola fino alle 9:30, poi arriva la combriccola dei pensionati, che invece che bere bianchini, vengono a fare 4 tiri in falesia. Quel momento di saluto e le quattro chiacchere con il gruppetto mi fanno andare al lavoro più allegra.

Insomma oggi ho riflettuto un po’ sul mio allenamento, sul senso del dovere e del piacere strano che provo ad allenarmi scalando, che è profondamente diverso da quello che provo se vado a correre, in bici o a nuotare. Quel senso di vuota pienezza di me stessa lo provo solo scalando… in quel perverso mix di impegno e divertimento che solo lì riesco a trovare.

Ecco. Dopo tanto tempo ho avuto voglia di mettere insieme qualche riflessione. Speriamo ora che la stagione volga al meglio, e che segua anche qualche racconto di bella via…. stay tuned.